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Paolo Assandri
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La mia immagine allo specchio: amore o odio?

“Mi immagino sempre meglio di come mi vedo negli specchi. Ma è dalle vetrine che non puoi scappare. Perché nello specchio ti ci guardi con l’intenzione di guardarti. Ma le vetrine no: quelle ti prendono a tradimento”  
(E.C.)

 

 

 

Il rapporto con la nostra immagine è complesso. Spesso può essere difficile e conflittuale e può generare molta sofferenza. In una cultura come la nostra in cui viene enfatizzata la necessità di avere un’immagine sexy e vincente, una forte autostima e una grande fiducia in se stessi, questo rapporto viene messo ancora più alla prova per l’imbarazzo che esso può generare. 

Vediamo insieme quali sono le possibili idee che generano e mantengono un rapporto difficile con la nostra immagine corporea e, soprattutto, esploriamo insieme come il comprendere queste idee possa aiutarci a migliorare il rapporto con il nostro corpo e con noi stessi:

“Sono esattamente come mi vedo”: FALSO
L’idea di essere esattamente come ci percepiamo quando ci guardiamo allo specchio è un’illusione. L’immagine allo specchio è una realtà psicologica prima ancora di essere una realtà fisica. Pensate a quante volte vi siete guardati allo specchio e vi siete piaciuti e a quante volte, invece, vi siete guardati e vi siete biasimati, magari anche durante la stessa giornata o a distanza di pochi giorni. Eppure, realisticamente parlando, non potete essere cambiati in modo così eclatante nel giro di poche ore o di pochi giorni.

“Il modo in cui mi vedo e mi percepisco è esattamente il modo in cui mi vedono gli altri”: FALSO
Il modo in cui ci vediamo è come una lente di ingrandimento che deforma il modo in cui ci percepiamo. Questa “lente” è fatta di moltissimi ingredienti: della nostra storia personale e familiare, di ciò che amiamo o che odiamo dei nostri genitori o dei nostri parenti, delle nostre esperienze con il nostro corpo, dei nostri traumi, delle nostre esperienze felici e del nostro stato d’animo. Allo stesso modo, le persone ci vedono in modo del tutto soggettivo e i loro giudizi possono essere molto diversi dai nostri. Come diceva il filosofo David Hume: “Ogni mente percepisce una diversa bellezza.”

“La bellezza è oggettiva”: FALSO
In alcuni Paesi essere sovrappeso è un segno di bellezza in quanto incarna un’idea di potere, di ricchezza e di prosperità. In questi luoghi, le persone sovrappeso sono considerate più attraenti così come lo sono le persone magre nella nostra cultura. Questo ci fa pensare a come l’idea di bellezza non sia oggettiva ma sia, invece, fortemente influenzata dalle idee, dalla cultura e dalle immagini a cui le persone sono esposte quotidianamente. Attraverso quello che vediamo e ascoltiamo, impariamo che cosa sia bello e di conseguenza impariamo ad essere attratti da ciò che apprendiamo a percepire come bello ed attraente. Osservate com’è cambiata l’ideale di bellezza negli anni attraverso le foto delle vincitrici del concorso Miss Italia dal 1939 ad oggi e vedrete come i canoni estetici si sono modificati (anche in modo sensibile): http://www.missitalia.it/archivio/albodoro.php

“Se fossi diverso (più magro, più alto, etc.), la mia vita sarebbe migliore”: FALSO
Spesso il nostro corpo diventa il capro espiatorio della nostra insoddisfazione esistenziale. Attribuiamo così la nostra scontentezza al fatto di avere (o di non avere) certe caratteristiche fisiche. Per anni ho sentito le persone dire: “Se perdessi peso, mi amerei di più”. Nella mia esperienza con i pazienti, la mia impressione è che spesso sia vero esattamente il contrario: le persone perdono peso quando iniziano a volersi più bene. E lo fanno con una motivazione diversa: quella di prendersi cura di sé in quanto percepiscono il loro valore, piuttosto che cercare di cambiare qualcosa che considerano spregevole e che deve essere modificato a tutti i costi.

“Mi odio” e altre variazioni sul tema
Il disprezzo può essere una reazione automatica quando ci guardiamo allo specchio. Queste affermazioni di spregio possono essere stimolate anche solo dall’idea del nostro corpo. Ma questo tipo di reazione, per quanto ci possa sembrare viscerale e incontrollabile, è solo la punta dell’iceberg di un atteggiamento autocritico e autosvalutante che abbiamo imparato ad avere nei nostri confronti e che abbiamo supportato e rafforzato con una pratica costante. Insomma: abbiamo imparato a disprezzarci e, grazie ad una pratica quotidiana, siamo diventati molto bravi a farlo. Kristin Neff ci insegna però che questo atteggiamento può essere cambiato e si può imparare ad essere più amichevoli e gentili nei nostri confronti: come abbiamo imparato a disprezzarci possiamo imparare a volerci bene. Vi consiglio di leggere il suo libro “La self-compassion. Il potere di essere gentili con se stessi” (ed. FrancoAngeli) per capire meglio come sia possibile farlo.

Vi invito a riflettere su queste idee con un atteggiamento di scoperta e di esplorazione e non con l’intenzione di capire in che modo sbagliate o in che modo “siete” sbagliati. Osservate le vostre idee senza giudizio e datevi l’opportunità di scoprire cosa non riuscite (ancora) a vedere di voi stessi e del mondo che vi circonda.

Sentirsi bella non ha niente a che fare con il tuo aspetto

Emma Watson

Autore: Paolo Assandri è un Counselling Psychologist (registrato presso HCPC e British Psychological Association ), uno Psychotherapist (UKCP) e uno Psicologo-Psicoterapeuta (Ordine degli Psicologi del Piemonte). Vive e lavora a Londra dove offre counselling e psicoterapia.

Nota degli Autori: Questo articolo non si intende come sostituto di alcuna terapia medica e/o psicologica. Il suo obiettivo è quello di informare i lettori. Qualora sentiste la necessità di supporto medico e/o psicologico, rivolgetevi ad un professionista sanitario. Gli autori, i produttori e i consulenti impegnati nella realizzazione di questo articolo non sono responsabili delle scelte e delle azioni dei lettori avvenute in seguito alla lettura di questo scritto.

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